domenica 25 novembre 2012

Sotto la quercia

 Un vagito ruppe improvviso il silenzio. Pochi attimi e tacque. Caterina la Caprara1 si fermò sulla strada che delimitava un pendio di boscaglia degradante alle rive del fiume Aso e stette ad ascoltare, ma si udiva solo il gorgoglio delle acque. Sarà stato il grido di qualche animaletto, pensò la donna riavviandosi, ma ecco che il vagito tornò alto spegnendosi immediatamente e lei lasciò cadere dalle spalle la fascina di legna e s’inoltrò nella sterpaglia da cui le sembrava fosse venuto. Non cercò molto che riudì il pianto dietro di lei: si girò e tra gli arbusti sotto una quercia al margine della strada, vide un fagotto da cui emergeva il visetto di un neonato, gli occhi aperti e disperati. Oh, Gesù! Esclamò Caterina sollevandolo subito e, tenendolo in braccio, cominciò a correre verso casa sua situata in una frazione di campagna appartenente a un Comune del territorio dei monti Sibillini. La creatura teneva la bocca accostata al petto della donna che pensava fosse sfinita per la fame e anche per il freddo ancora notevole in quel luogo, nonostante la bella giornata di marzo.
Correndo, in poco tempo arrivò a casa.

sabato 24 novembre 2012

La narratrice

Negli anni sessanta del secolo scorso, tra le piccole raccoglitrici di caffè dell’alta Valle del Cibao c’era Olivia, bambina appartenente a una delle tante famiglie povere di un villaggio situato in quel fertile territorio dell’isola di Santo Domingo delimitato a est e a nord dall’oceano Atlantico ed esteso tra le Cordigliere settentrionale e centrale su cui s’innalza, oltre i 3000 m., l’imponente Pico Duarte. L’abbondanza dei corsi d’acqua per i fiumi che attraversano il territorio e il clima dell’altitudine compresa tra gli 800 e i 1200 metri, temperato dalla brezza marina proveniente da oriente, sono propizi alle varietà dell’agricoltura ricca di ortaggi vari, di piantagioni di tabacco, banani, noci di cocco, ananas e soprattutto di caffè. Un caffè Arabica, da coltura biologica, che si distingue per un’alta qualità aromatica leggermente fruttata, i cui chicchi sono raccolti e sgusciati a mano. Al contrario delle altre zone, dove le terre sono concentrate nelle mani di pochi possidenti che adottano dannose coltivazioni intensive di canna da zucchero e sfruttano i braccianti quasi in modo schiavistico, nel Cibao esiste la piccola proprietà. I possidenti però sono una minoranza rispetto ai nullatenenti che riescono a sopravvivere nonostante i salari bassi perché tutti, compresi gli anziani le donne e i bambini, lavorano nelle colture locali.

La canteora gitana

Ricordavo la casa del Sacromonte1 situata su una radura sotto il colle Valparaiso, e soprattutto lei, la canteora gitana che una sera d’aprile del 2000 festeggiava il suo ottantesimo compleanno con i sodali e avevo avuto la ventura di esserci anch’io, grazie a una comune amica.
Ricordavo perfettamente la sua figura agile nonostante l’età, lo splendore degli occhi appassionati e l’amabile volto appena segnato da qualche ruga, i capelli bianchissimi raccolti in una crocchia.
Aveva cantato per noi, e tante volte mi era tornato il suono della sua voce nel cante por tango flamenco con sequenze incalzanti e vive, accorata nei cadenzati accenti por farruca evocanti la nostalgia dell’esule per la terra d’origine, e profonda nel Cante Jondo pervaso di dolore, senso di mistero e fatalità peculiari del mondo andaluso che ispirò a Federico Garcia Lorca il Romancero gitano.