sabato 24 novembre 2012

La narratrice

Negli anni sessanta del secolo scorso, tra le piccole raccoglitrici di caffè dell’alta Valle del Cibao c’era Olivia, bambina appartenente a una delle tante famiglie povere di un villaggio situato in quel fertile territorio dell’isola di Santo Domingo delimitato a est e a nord dall’oceano Atlantico ed esteso tra le Cordigliere settentrionale e centrale su cui s’innalza, oltre i 3000 m., l’imponente Pico Duarte. L’abbondanza dei corsi d’acqua per i fiumi che attraversano il territorio e il clima dell’altitudine compresa tra gli 800 e i 1200 metri, temperato dalla brezza marina proveniente da oriente, sono propizi alle varietà dell’agricoltura ricca di ortaggi vari, di piantagioni di tabacco, banani, noci di cocco, ananas e soprattutto di caffè. Un caffè Arabica, da coltura biologica, che si distingue per un’alta qualità aromatica leggermente fruttata, i cui chicchi sono raccolti e sgusciati a mano. Al contrario delle altre zone, dove le terre sono concentrate nelle mani di pochi possidenti che adottano dannose coltivazioni intensive di canna da zucchero e sfruttano i braccianti quasi in modo schiavistico, nel Cibao esiste la piccola proprietà. I possidenti però sono una minoranza rispetto ai nullatenenti che riescono a sopravvivere nonostante i salari bassi perché tutti, compresi gli anziani le donne e i bambini, lavorano nelle colture locali.

 <br> <br>
A otto anni Olivia aveva perduto il padre e lavorava insieme alla madre per aiutarla a provvedere alla sussistenza della famiglia composta di altri due bambini gemelli e della nonna. Perciò in maggio e dicembre, mesi del raccolto del caffè, si assentava da scuola ma la sera, nonostante la stanchezza, trascorreva alcune ore studiando e leggendo dei libri che prendeva in prestito dalla piccola biblioteca scolastica. Quando tornava in classe, recuperava quanto aveva perduto nelle assenze con impegno tenace, sostenuto dalla sua vivace intelligenza e dall’innata passione per la lettura grazie alla quale aveva acquisito una padronanza della lingua spagnola rarissima in un ambiente contadino nel quale dominava il dialetto. Il pomeriggio aiutava nei compiti i suoi fratelli e il loro compagno di scuola, Vicente, sesto e viziato figliolo di doña Rachele, proprietaria della piantagione di caffè in cui Olivia lavorava durante il raccolto. E, grazie al suo aiuto, Il ragazzino, che solitamente era svogliato, non solo migliorò alquanto il profitto scolastico, ma si appassionò alle storie che lei leggeva a lui e ai fratelli, traducendo nel dialetto le parole e i passi che loro non capivano. Doña Rachele, soddisfatta e grata, pensò di ricompensarla con un’iniziativa vantaggiosa anche per sé, e invitò lei e i fratelli a pranzare ogni giorno a casa propria in modo che nel pomeriggio studiassero insieme al suo figliolo e leggessero i libri consigliati dalla maestra.   <br>
Una felicità, per i ragazzini poveri, usufruire di cibo buono e del calore del camino specie in gennaio e febbraio quando a quell’altitudine la temperatura scende anche sotto zero. A casa loro bisognava risparmiare la legna che nel bosco scarseggiava perché andavano a raccattarla tutti quelli che non potevano comprarla.
Seguendo scrupolosamente i consigli della maestra, la mamma di Vicente lasciava ai ragazzini il tempo di giocare, ma loro si divertivano anche a fantasticare viaggi sugli itinerari che incontravano nelle letture.
Un giorno, a casa di doña Rachele arrivò il commesso di una libreria portando i volumi da lei prenotati. I ragazzini si precipitarono ad aprire il pacco e videro che c’era anche la storia della conquista spagnola del loro Paese scritta da fra’ Bartolomeo de Las Casas che nel 1492 aveva partecipato alla spedizione di Colombo in cerca delle Indie arrivando invece in quell’isola sconosciuta. Olivia l’aveva già studiata a scuola e aveva letto anche quel libro, mentre i ragazzini l’avrebbero studiata l’anno successivo, perciò disse loro di aspettare che gliela spiegasse la maestra. <br>
Vicente, ormai diventato impaziente nell’attesa di conoscere una storia, pregò Olivia che la raccontasse, almeno in sintesi. <br>
Lei, come sempre perché le piaceva narrare, accettò e, dopo aver spiegato i motivi della spedizione, disse che Cristoforo Colombo, in obbedienza alla regina Isabella la cattolica che aveva promesso al papa un’opera di conversione degli infedeli, invitò a far parte dell’equipaggio di circa novanta uomini quel frate domenicano che accettò volentieri, noncurante della lunga e avventurosa navigazione per l’immenso oceano Atlantico, ancora mai attraversato da alcuno. Anzi, da giovane fantasioso, era felice di trovarsi nello spazio sconfinato tra le acque e il cielo, di vedere tante creature marine attorno alle tre caravelle, e intanto pensava alle meravigliose terre di cui si favoleggiava e si esaltava al pensiero della missione alla quale si sarebbe dedicato. Certo non immaginava le atrocità di cui sarebbe stato testimone – chiosò Olivia.  <br>
Che atrocità? - chiese Vicente, inquieto. <br>
Se non hai pazienza, mi fermo - gli rispose lei. <br>
Scusa, continua, per favore. <br>
E lei: dopo circa due mesi di viaggio, ai naviganti apparve una terra verdissima sotto un limpido cielo solcato da miriadi di volatili colorati, circondata da fitte e alte foreste. Il monaco innalzò un canto di ringraziamento a Dio seguito dai suoi compagni che continuarono a esultare con grida di gioia.  <br>
Sbarcarono la mattina del 12 ottobre 1492 su una spiaggia bianchissima, delimitata da una selva di alberi alti, alcuni con frutti strani, a loro sconosciuti, e altri con fiori altrettanto misteriosi.  <br>
Appena gli spagnoli toccarono il suolo, videro sbucare dalla foresta un gruppo di persone e fermarsi a osservarli con meraviglia e quasi con timore. Erano tutti nudi, adulti e bambini, gli uomini soltanto con pezzi di pelle sui genitali e alcune donne indossavano una gonnellina fatta con paglia, cotone o foglie, le altre niente. I loro corpi erano armoniosi e dipinti di vari colori: nero, bianco, rosso o giallo, decorati con tatuaggi e adornati da vari monili d’oro e d’argento. Gli arrivati seppero dopo che si dipingevano così per tenere lontani gli spiriti del male.  <br>
Rassicurati dal loro atteggiamento pacifico, gli spagnoli cominciarono a regalargli oggettini di nessun valore: vetri colorati, specchietti che suscitavano un’allegra meraviglia in coloro che si vedevano riflessi e, indicando il cielo, cartoncini disegnati con immagini di Gesù, della Madonna e di vari santi. Quelli, guardandoli e notando la somiglianza tra le immagini e i donatori, con gesti ed esclamazioni di meraviglia fecero intendere di ritenerli una sorta di deità venuti dal cielo e cominciarono a ricambiare i regali con i monili preziosi che avevano addosso. Alcuni tornarono nella foresta riapparendo poi con ceste di paglia piene di banane noci di cocco ananas e arachidi, frutti sconosciuti per gli spagnoli, e glieli porsero insegnandogli con l’esempio che cosa fare per poterli mangiare. Nelle ceste c’erano anche forme di una specie di pane fatto con la manioca essiccata al sole, filetti di pesce anch’essi essiccati, e ciotole di scorza di cocco, di ceramica o terracotta piene di una bevanda alcolica ottenuta con la fermentazione della manioca stessa. E poi grandi foglie di un’erba secca arrotolata da fumare, un’altra novità per gli spagnoli che non conoscevano il tabacco ed erano sbigottiti notando che quei selvaggi, come loro li definivano, vivevano in un paradiso terrestre, avevano a disposizione beni di sopravvivenza e altri di piacevole passatempo, e sapevano fare tante cose.  <br>Cominciarono subito l’esplorazione dell’isola, dividendosi in gruppi per direzioni diverse e portando con loro alcuni aborigeni, contenti di fargli da guida. <br>
Il frate si unì a un gruppo guidato da un uomo che, con una mimica alquanto comunicava, significò di essere il capo di una tribù (cacicco, nella sua lingua) e, indicando sé e gli altri sempre con gesti mimici, disse il nome della popolazione dell’isola: Taino. Cercò di far intendere che quel termine significava buono, nobile, ma forse i conquistatori non capirono.  <br>
Come prima tappa li condusse in una vasta radura nella vicina foresta, dove sorgeva un villaggio di capanne costruite con legname, canne e coperte da foglie di palma. Lo spazio interno era vasto e comprendeva il focolare, una zona con amache di cotone sospese tra una parete all’altra, varie mensole di legno con suppellettili di ceramica, terracotta e di legno e, su una delle mensole, due piccoli idoli di cotone che il cacicco denominò Zemis. Fece intendere che uno rappresentava il Grande Spirito e l’altro la Sacra Madre Terra, creatori degli esseri viventi e di tutte le cose. E indicò il cielo per significare che era la loro sede.  Con un largo cenno del braccio palesò che il Grande Spirito era presente in tutte le creazioni e pertanto ogni realtà naturale era animata, e i Taino comunicavano con il creatore attraverso l'interazione con la foresta, gli animali, l’aria e l’acqua, e perciò loro veneravano i progenitori divini con preghiere e rituali che servivano anche a tenere lontano Juracán, lo spirito del male.  <br>
Poi li accompagnò in giro per la foresta, dicendo i nomi dei frutti che indicava con espressione soddisfatta e felice, significandogli che potevano prenderne. <br>
Nei giorni successivi, Il frate continuò a star vicino al cacicco cercando di fargli capire che la divinità è la stessa per tutti i popoli, solo che ognuno le attribuisce forme e nomi diversi, e pertanto potevano considerarsi fratelli. Cominciò quindi ad assistere ai riti religiosi dei Taino invitandoli a partecipare alla sua celebrazione della messa, cosa che molti facevano convinti di non offendere la propria religione e cominciarono a farsi il segno della croce, pensando che fosse un gesto per tenere lontano lo spirito del male, ma gli spagnoli lo vollero interpretare come prova di conversione.
 <br> <br>
 L’atteggiamento amichevole e la liberalità dimostrata dai nativi confermarono negli Spagnoli l’impressione di essere considerati deità benevole, e raccolsero i materiali di una delle tre caravelle, gravemente danneggiata per un urto con gli scogli durante le manovre di sbarco, e li usarono nella costruzione di un fortino come loro provvisoria sede.  <br>
Intanto, esplorando il territorio in lungo e in largo, notarono che la popolazione non era numerosa, che era divisa in tribù, ognuna governata da un cacicco e che questi dipendevano da un capo supremo, depositario, insieme a alcuni personaggi, sorta di sacerdoti, della volontà divina. Scoprirono l’esistenza di sciamani, molto rispettati perché durante i riti religiosi, celebrati con danze accompagnate da tamburi e altri strumenti, comunicavano con la divinità inalando una polvere estratta dai frutti dell'albero di cohoba.  <br>
Videro rigogliosi campi di manioca, patate, mais, peperoncini, ananas, arachidi, cotone, riso e tabacco, campi che i Taino coltivavano con mezzi rudimentali e senza molta fatica perché il terreno era umifero e alquanto morbido. Né lavoravano molto, solo quanto bastava alla loro sopravvivenza, potendo usufruire anche dei frutti dei grandi alberi e di quanto di spontaneo cresceva sul terreno, tra cui delle canne nelle cui pareti interne solidificavano cristalli dolci ed energetici. Cacciavano poco perché pensavano che gli animali fossero animati e sacri, e pescavamo quanto bastava servendosi sia di ami sia di reti di cotone. <br>
Grande la felicità degli invasori quando, oltre ai giacimenti d’argento, bauxite, nichel, ferro e salgemma, scoprirono quello che cercavano: l’oro. Miniere alluvionali d’oro, di cui i Taino ignoravano il valore venale ma, avendo inventato il modo di lavorarlo, ne raccoglievano quanto bastava per farne begli oggetti esornativi.
 Viste le miniere aurifere e le altre, Colombo, esultante, lasciò quaranta uomini nella base del fortino e tornò con l’altra parte dell’equipaggio in Spagna per portare la lieta notizia alla regina e avere altre imbarcazioni e mezzi per l’estrazione dell’oro e degli altri minerali dell’isola. A prova della ricchezza trovata, recò con sé vari monili d’oro avuti in regalo, campioni raccolti nelle miniere alluvionali e alcune persone come esemplari della popolazione del luogo.  <br>
 Intanto gli invasori e gli aborigeni imparavano la lingua gli uni dagli altri, ma la comunicazione non aiutò i rapporti presto guastati dal comportamento degli Spagnoli che si diedero a razziare i villaggi, impossessandosi degli oggetti trovati nelle capanne e facendo violenza alle donne.  <br>
Allora i Taino capirono che quelle persone non potevano essere deità venute dal cielo e il capo dei cacicchi organizzò la rivolta dando la caccia con attacchi a sorpresa alle bande dei razziatori che furono fatti fuori uno per uno eccetto il frate che invano si era adoperato per impedire ai suoi connazionali di commettere quei delitti.  <br>
Quando Colombo tornò dalla Spagna con altri 1500 uomini, saputo com’erano spariti i connazionali lasciati sul posto, in poco tempo, data la superiorità delle armi, fece uccidere il cacicco e tutti quelli che tentavano di difendersi. In poco tempo gli invasori s’impadronirono delle terre e costrinsero tutti al lavoro schiavizzato: le donne e i bambini nei campi e come loro servitori, gli uomini nelle miniere e nelle coltivazioni di canna da zucchero - che presto furono impiantate in tutte le zone pianeggianti allargate con il taglio degli alberi. E vi si stabilirono da padroni assoluti costruendo villaggi di case di pietra e legno con il lavoro della popolazione locale.   <br>
Non abituati alla fatica del lavoro loro imposto, i nativi si ammalavano e cominciarono a morire come mosche anche per le malattie di cui erano portatori gli Spagnoli e per le quali loro non avevano anticorpi; molti si toglievano la vita per depressione, soprattutto le donne vittime delle violenze degli invasori. In meno di due decenni, di circa 400.000 individui, ne rimasero, secondo la stima del frate, meno di 60.000 e continuarono a ridursi fino a sparire. <br>
Quando la popolazione locale cominciò a venir meno, gli Spagnoli deportarono schiavi neri dall’Africa, uomini e donne in modo che fosse assicurato gratis il ricambio, e li adoperarono nelle miniere e nelle ormai vaste coltivazioni di canna da zucchero che per gli invasori divennero la principale fonte di reddito dopo l’esaurimento delle miniere d’oro del quale, in circa un ventennio, furono estratti e importati in Spagna più di diecimila tonnellate.  <br>
In seguito alla tratta degli schiavi – disse Olivia – l’isola si ripopolò con nuove generazioni di neri, diretti discendenti dagli africani, di meticci come me e voi che proveniamo dall’unione tra spagnoli e africane e ormai costituiamo la maggior parte degli abitanti del territorio, ma quasi nessuno è rimasto con i bei tratti somatici degli indios Taino.  <br>
Qui Olivia terminò il racconto. Era scesa la sera, limpida e stellata, e i tre ragazzini avevano le lacrime agli occhi. Allora, indicando nel riquadro della finestra il Pico Duarte la ragazza gli disse: guardate, sembra toccare le stelle, una leggenda vuole che lo spirito taino sopravviva su quell’altura. <br>
Chi ha l’animo nobile è vicino alle stelle, vero? Chiese Vicente. <br>
Noi, però, osservò uno dei gemelli, non siamo discendenti Taino! <br>
Siamo nati nella loro terra e dobbiamo ricordarli cercando di essere come loro, non come quelli che li hanno sterminati – rispose Olivia – e non è difficile, basta non essere degli egoisti e avere solidarietà verso gli altri.
I ragazzini la abbracciarono.
 <br> <br>
Crescevano insieme, contenti, volendosi bene, cercando di comportarsi secondo i suggerimenti di Olivia che continuò ad aiutare Vicente fino al termine degli otto anni di scuola primaria, ma dopo la madre lo mandò in un collegio di Santiago per continuare gli studi e la ragazza andò a lavorare nei campi dalla mattina alla sera, mentre i suoi fratelli trovarono occupazione uno nell’officina meccanica del villaggio e l’altro come raccoglitore di frutti tropicali.  <br>
Più il tempo passava, più Olivia soffriva la mancanza della scuola e dell’impegno pomeridiano che lei aveva compiuto con responsabilità e gioiosamente, si sentiva estranea alla mentalità delle compagne di lavoro, ai loro discorsi, ma evitava di isolarsi per non essere considerata strana, come accadeva se durante qualche pausa stesse in un angolo a leggere.  <br>
Sapeva che tante persone, specie di altre zone, vittime della crescente concentrazione della proprietà terriera, emigravano in cerca di un’occupazione nelle città costiere ormai diventate attrattive turistiche, e sperava si presentasse un’occasione simile anche per lei, ma che fosse un lavoro pomeridiano in modo di poter frequentate di mattina una scuola superiore. Un giorno seppe che la proprietaria della locanda del villaggio trovava occupazione in città a delle ragazze come domestiche o baby-sitter, e si presentò.  <br>
Sai fare i lavori di casa e badare ai bambini? Chiese la signora. <br>
 Sì, però voglio continuare a studiare perciò dovrei trovare un’occupazione di pomeriggio. <br>
Con questa limitazione è un po’ difficile, però… - e dopo una pausa durante la quale osservò attentamente la figura della ragazza – la donna disse: una mia collega che gestisce un hotel a Santo Domingo procura lavoro a ragazze e ragazzi come guide per i turisti. So che il lavoro non manca e si guadagna benino. Ne parlerò a lei.  <br>
Io però non conosco la città! Notò Olivia con avvilimento. <br>
Non ti preoccupare, l’imparerai, intanto comincerai ad accompagnare i turisti nei negozi dove si recano loro, per fargli da interprete con i venditori per le cose che vogliono comprare e per le contrattazioni sul prezzo. Vedo che parli bene lo spagnolo e dato che hai frequentato le scuole, ti arrangerai un po’ con l’inglese, no?
Sì, l’inglese l’ho studiato! <br>
Bene, allora torna lunedì e ti faccio sapere. <br>
Olivia tornò e la signora, con un largo sorriso, le comunicò: tutto fatto, domenica prossima verrà la mia collega e partirai con lei. Ti darà una stanza nel suo albergo e il vitto. Lavorerai solo di pomeriggio e pagherai una percentuale sul tuo incasso giornaliero. <br>
Olivia tornò a casa felice, ma appena le raccontò, la madre si mise le mani nei capelli: tu sei impazzita! Dove vuoi andare così alla ventura? Lo sai quello che può succedere a una ragazza?  <br>
Lo so ma a me non succederà, sono capace di badare a me stessa e voglio tentare di trovare il modo di continuare gli studi. Se la situazione non va bene, torno subito a casa. Ti prego di darmi fiducia. <br>
E la mamma, col viso bagnato di lacrime: so che sei una ragazza intelligente, matura più dei tuoi quindici anni, e non voglio impedirti di tentare di costruirti un avvenire migliore, ma ti prego di tenere gli occhi bene aperti e di diffidare di tutti.
 <br> <br>
La prima persona verso la quale Olivia sentì diffidenza, fu quella che venne a prenderla: una donna dallo sguardo acuto e freddo e dal sorriso infido, ma partì con lei, con l’animo di chi s’inoltra in una foresta senza conoscere il sentiero per uscirne, ma con la ferma convinzione di sapersi orientare con il sole e le stelle. E poiché non si era mai mossa dal proprio luogo e conosceva il Paese soltanto dai libri, abbandonò l’inquietudine e si mise a osservare attentamente il paesaggio che le scorreva agli occhi. Le sembrava di stare attraversando il paradiso terrestre e aveva attimi di felicità e di esaltazione che le infondevano speranza per la sua avventura. <br>
La città, invece, già ai primi sguardi dal finestrino dell’auto, le parve un caos spaventoso, ma non si scorò: avrebbe visto le meravigliose spiagge bianchissime lambite dalle foreste, i famosi monumenti e le chiese, i grandi negozi… e mentre fantasticava, la signora fermò l’auto davanti a un hotel. Scesero, entrarono e quella la guidò in una stanza, le disse di riposare e di scendere in sala pranzo alle otto per la cena.  <br>
Olivia fece una doccia, felice di avere a disposizione un bagno tutto per sé, tirò fuori dalla borsa il migliore vestito che possedeva – gonna e giacca e una bella camicetta regalatale da doña Rachele – si affacciò alla finestra ma la vista dava su una via secondaria e vide solo pareti di altri edifici. Aveva voglia di uscire, ma era già quasi l’ora di cena e scese nella hall. C’erano persone sedute in poltrone, e notò che erano quasi tutti uomini bianchi, sicuramente americani ed europei.  Subito si accorse di avere addosso i loro occhi e si avviò per tornare in camera, nel corridoio incrociò un gruppetto di ragazze mulatte all’incirca sue coetanee e qualcuna più piccola di lei, che le lanciarono uno sguardo e le sorrisero.   <br>
Alle otto in punto andò in sala da pranzo e sedette al tavolo indicatole da una cameriera. Vi stavano già altre due ragazze che la salutarono con un festante hola e lei pensò fossero del gruppo incontrato nel corridoio. Dando uno sguardo alla sala, notò che vari tavoli erano occupati da un uomo bianco e una ragazza di colore e a uno essi scorse un ragazzino mulatto, molto carino e dall’espressione triste, intento a osservare una macchinetta fotografica che teneva tra le mani, seguendo le spiegazioni sul funzionamento che gli dava un grassone dal sorriso ripugnante seduto accanto a lui. Allora, improvvisamente, come le arrivassero alle orecchie in quel momento, risentì le parole accorate della madre e si rivolse alle compagne di tavolo chiedendole se erano a Santo Domingo per turismo. <br>
No, siamo qui per lavorare, rispose la più grande delle due.  <br>
Fate da guida ai turisti ?  <br>
Sì, certo, disse quella, e scambiò con la compagna uno sguardo come d’intesa; poi le chiese: e tu da dove vieni? Sei arrivata oggi? <br>
Sì, vengo da un paese del Cibao per fare il vostro stesso lavoro.  <br>
L’altra, un’adolescente sui dodici anni, le chiese: lo sai in che consiste esattamente il nostro lavoro? <br>
Accompagnare i turisti per la città e nei negozi, no? <br>
Non solo questo. <br>
E che altro? Chiese lei, turbata. <br>
Intervenne la più grande: gli facciamo un po’ di compagnia, ma non ti preoccupare, vedrai che si guadagna bene.  <br>
Olivia si accorse che, nel dire così, la ragazza aveva sfiorato col gomito un braccio della compagna, ma non insistette, era chiaro che non avrebbero detto altro. Tentò inutilmente di mangiare qualcosa e dopo cominciò a girare per l’hotel in preda a un’agitazione crescente, cercando di scoprire se c’era qualche uscita secondaria. Aveva scartato l’idea di chiedere spiegazioni alla padrona dell’albergo che l’aveva portata lì, pensando che se quella l’aveva ingannata era meglio non insospettirla. Scoprì una scala con l’indicazione lavanderia e la prese, si trovò in quel luogo al piano terra e con una porta. Scostò il chiavistello e l’aprì: dava su un vicolo, vi s’inoltrò e a una svolta vide che immetteva su un viale. Tornò in camera, andò a letto ma non riuscì a dormire.  <br>
La mattina dopo la signora le disse che era libera fino alle tre del pomeriggio, quando avrebbe accompagnato un turista americano in un negozio e di non preoccuparsi perché la strada la conosceva lui. Lei disse che avrebbe fatto un giro nei dintorni, e la signora le raccomandò di tornare puntuale per l’ora di pranzo.  <br>
Olivia uscì, girò l’angolo e prese il vicolo su cui dava la lavanderia, arrivò fino alla svolta, s’inoltrò sul viale, camminò in avanti osservando i punti di riferimento e pervenne all’entrata di un parco. Vi s’inoltrò e girò per i viali con una gran voglia di piangere, ma si faceva forza pensando che forse stava esagerando a sospettare qualcosa di male, e in ogni caso, se fosse stato necessario, aveva il modo di fuggire. <br>
Alle tre bussò alla porta della stanza n. 22, secondo l’indicazione della signora. <br>
Aprì un uomo tarchiato di mezza età, con un bicchiere in mano, le sorrise e la invitò a entrare e sedersi, le chiese se voleva un goccio di rhum, ma lei rispose che non beveva e avrebbe atteso che lui fosse pronto per uscire. <br>
Per andare dove? Chiese lui. <br>
A fare compre in un negozio, come ha detto la signora. <br>
 Ah, ho capito, non sei stata informata che sei qui per venire a letto con me… non ti preoccupare, ti pagherò bene.  <br>
Lei, facendo un passo indietro: io non vado a letto con nessuno! <br>
L’uomo l’afferrò per un capo della sciarpa che teneva appoggiata sul collo ed ebbe un’esclamazione che lei non capì, perché si voltò fulmineamente, imboccò la porta rimasta semiaperta e fuggì come una lepre. Lui uscì nel corridoio - la sciarpa in mano – e, non vedendola, si avviò a gran passi verso la hall. Olivia non c’era, il portiere disse di non aver visto nessuno.  <br>
Difatti la ragazza era scesa dalla scala che portava alla lavanderia e, uscita in strada, sempre di corsa era approdata nel parco scoperto alcune ore prima. <br>
Seduta sotto un immenso ginko biloba, sopraffatta dalla collera, pensava di tornare subito al proprio paese, nella tasca della giacca aveva il poco denaro portato da casa e il documento d’identità, ma non sapeva come raggiungere la stazione delle corriere. Vinta dallo sconforto, cominciò a piangere. A un tratto vide a lato di sé una bambina che la osservava, la guardò e quella: Llori? Estas mal?  <br>
Olivia tentando di asciugarsi gli occhi e di sorridere, le fece una carezzina e rispose ora passa tutto, non ti preoccupare, ma tu che fai qui, sola? <br>
Non sono sola, lì ci sono la mamma e mia sorella Julia - e indicò la panca situata dietro su cui erano sedute. Vendendole, la ragazza si rianimò pensando di chiedere alla signora le informazioni di cui aveva bisogno e, alzandosi, la vide venire verso di lei. Era una donna giovane e di gradevole aspetto, che le disse: mi scuso se la mia bambina ti ha importunato. <br>
Oh, niente affatto… Le posso chiedere un’informazione? <br>
Certo, dimmi.  <br>
Devo tornare subito al mio paese e non so dov’è la stazione delle corriere…  <br>
Davanti all’uscita ci sono i taxi, ne prendiamo uno e ti accompagno. <br>
Oh, ero così stonata che non ho pensato ai taxi! - e di nuovo i suoi occhi si riempirono di lacrime
Come ti trovi qui senza conoscere la città? Ti è successo qualcosa?  <br>
La ragazza scoppiò in pianto abbandonandosi sulla panca, la signora sedette accanto a lei dicendole non è necessario che mi risponda se non lo desideri, ti aiuterò comunque. <br>
Grazie della sua bontà, le racconterò tutto, disse Olivia asciugandosi gli occhi. La bambina la guardava col visetto triste, la mamma le disse vai a sederti con Julia, io faccio un po’ di compagnia a questa ragazza e poi la accompagneremo alla stazione.  <br>
La bambina ubbidì. <br>
Olivia, trattenendo a stento il pianto, le raccontò la sua disavventura, e le parlò anche della ragione per cui si era recata in città. <br>
Oh, povera ragazza! Sei incappata in una delle sciagurate circostanze purtroppo frequenti nel nostro paese che, a causa della miseria in cui vive tanta parte della popolazione e con la complicità di sfruttatori locali, è diventato una meta anche di turismo sessuale per porci europei e americani. E lodandola per l’accortezza con cui si era sottratta, le disse che desiderava aiutarla a realizzare il suo desiderio di continuare a studiare, perciò si sarebbe interessata per trovarle un lavoro onesto da svolgere il pomeriggio e intanto l’avrebbe ospitata a casa sua. <br>
Penso che giustamente, dopo quanto ti è capitato – aggiunse - tendi a non fidarti di nessuno, ma spero che crederai nelle mie buone intenzioni.  <br>
Che lei sia una persona per bene l’ho capito subito dalla sua disponibilità e dall’amabilità della sua bambina. Il suo aiuto è una grande ricompensa alla mia disavventura, però mi dispiace arrecarle fastidio. <br>
Nessun fastidio. Vieni, casa mia non è lontana.  <br>
La donna chiamò le bambine e si avviarono.  <br>
Nell’andare, Olivia disse: se qualche sua amica ha bisogno per i lavori di casa, io li so fare… ma sono disponibile anche per lavare le scale dei palazzi… <br>
Non sarà necessario. Io ho già una collaboratrice domestica, ma tu sai badare ai bambini? <br>
Oh, sì, ho seguito i miei due fratelli più piccoli e il bambino della padrona di una piantagione di caffè, li aiutavo a fare i compiti scolastici, gli raccontavo le storie, inventavamo insieme dei giochi.  <br>
Bene, allora il problema è quasi risolto!  <br>
Pensa che potrei occuparmi delle sue bambine? <br>
Credo di sì, ma dobbiamo prima provare se si troveranno bene con te. Con la ragazza che li seguiva prima non andavano d’accordo…  <br>
Certo, è importante che mi accettino, ma per lei andrebbe bene il pomeriggio? <br>
Per me è una condizione perfetta. La mattina le bambine sono a scuola e li accompagno io che alla prima ora entro al liceo, dove insegno. All’uscita, passa a prenderli mio marito. Il problema è proprio il pomeriggio perché io devo correggere i compiti, preparare le lezioni e mio marito torna al suo studio di medico. Spero proprio che le bambine ti accettino, risolveremmo il tuo problema e il mio.   <br>
Mentre la signora parlava, a Olivia scappavano le lacrime e la bambina più piccola, Clarice, che aveva ascoltato ma sempre taciuto, come la sorella, prese una mano della ragazza e le disse: non piangere, con te saremo buone. <br>
La mamma sorrise e la carezzò: non farete capricci, vero?  <br>
No, riposero all’unisono le bambine.
 <br> <br>
La casa era grande e bella e a Olivia parve una reggia. Nel notare i tanti scaffali colmi di libri, ebbe un’esclamazione di felicità. <br>
Ti piace leggere? Le chiese la signora. <br>
Oh, sì, ho letto tutti i libri della biblioteca scolastica del mio paese. <br>
Bene, qui non ti mancheranno. <br>
Appena entrata nella stanza a lei destinata, ricordò improvvisamente d’aver lasciato il suo bagaglio con gli indumenti nell’albergo dal quale era fuggita. <br>
La signora la rassicurò: non è un problema, domani compreremo il necessario, questa sera ti darò una mia camicia da notte. <br>
Troppe emozioni in quella giornata che volgeva alla fine e Olivia si sentiva frastornata, ma reagì, si affacciò nella stanza delle bambine intente a esaminare una carta geografica e chiese se poteva entrare. Le fecero posto al tavolo tra di loro e Julia, la più grande, disse: devo studiare il corso del fiume Chavon, lo sto cercando sulla carta, ma è difficile scoprirlo…  <br>
La maestra ti avrà detto che è un fiume dal corso lunghissimo che per buona parte scorre al fondo di un canyon spettacolare ricoperto da grandi alberi, come una foresta… <br>
Sì, e l’ha mostrato sulla mappa appesa alla parete dell’aula, ma questa è piccola…  <br>
Proviamo a trovarlo insieme.  <br>
Ricordava i luoghi attraversati dal fiume e scoprì il corso segnato molto debolmente su quella cartina, perciò lo colorò in rosso dalla sorgente fino alla foce. Poi tornò indietro, segnando i punti di confluenza, le cascate, le deviazioni e spiegando l’influenza del fiume sui territori toccati. Julia provò a rifare e ripetere tutto da sola, talvolta s’impuntava e Olivia interveniva, ma la ragazzina s’impadronì velocemente dell’argomento e, felice, corse a raccontare tutto alla mamma, seguita dalla sorellina anche lei entusiasta. <br>
 Olivia ebbe il primo successo e un complimento incoraggiante.  <br>
La sera arrivò il marito della signora, e l’ansia della ragazza per l’incontro sparì subito perché, a cena, lui disse di essere contento che lei si occupasse delle bambine. Evidentemente la moglie gli aveva già raccontato tutto, difatti, accennando all’accaduto, manifestò l’opinione che non era opportuna una denuncia per la mancanza di prove, ma lui avrebbe parlato con un funzionario di polizia, suo paziente, perché facesse un’indagine su quell’albergo.  <br>
Oliva ascoltava turbata e commossa, si diceva mortificata per aver provocato tanto disturbo, ma fu immediatamente rassicurata. Era un’occasione, affermò il dottor Pedro, per tentare di colpire delinquenti che organizzavano lo sfruttamento di ragazzine e ragazzini e talvolta con la copertura di poliziotti corrotti.
Continuò affermando che situazioni del genere erano diffuse a causa della disoccupazione, tanto alta che i poveri superavano la metà della popolazione. <br>
Al mio paese c’è povertà, disse Olivia, ma non pensavo fosse così diffusa e grave dappertutto, per questo tante persone cercano lavoro all’estero.
Sì, nel giro di pochi decenni, su circa nove milioni di dominicani, ne sono già emigrati più di un milione e settecentomila. C’è tanto da fare, nel nostro Paese, bisogna impegnarsi per creare tra la popolazione una maggiore consapevolezza sociale.  <br>
Se la fortuna mi assiste, disse Olivia, io m’impegnerò. <br>
Noi ti aiuteremo, lo meriti. Vero Alejandra? – disse il dottore rivolto alla moglie che rispose: certo, le bambine sono entusiaste di lei. E rivolta a Olivia: ci aiuterai a crescerle, sarai come una della nostra famiglia e, ovviamente, ti daremo uno stipendio. <br>
A Olivia, finalmente, arrideva la fortuna: svolgeva il suo lavoro con scrupolo e al massimo delle sue capacità; le bambine, incantate soprattutto dalla sua vena narrativa, erano felici di stare con lei. A scuola non incontrava nessuna difficoltà e dedicava allo studio ore della sera o dell’alba.  <br>
Dopo qualche mese del suo soggiorno nella casa che l’aveva accolta, ebbe la soddisfazione di sapere che la proprietaria dell’albergo di malaffare era stata arrestata: la polizia, dopo un’accurata indagine, aveva fatto un blitz e sorpreso alcuni turisti con minori nelle loro camere. Le vennero agli occhi i volti tristi degli innocenti lì incontrati e sentì un gran pena per la loro condizione. Si considerò fortunata d’essere sfuggita a quell’orrore, e d’incontrare la signora Alejandra grazie alla quale poteva frequentare la scuola e sperare nel lavoro cui desiderava dedicarsi: insegnare ai bambini, educarli ad acquisire consapevolezza di sé e sentimenti di solidarietà e giustizia.  <br>
Nella casa in cui viveva, non le mancavano le occasioni per arricchire il suo sapere: non solo i libri, ma le conversazioni con i suoi colti ospiti che erano anche un esempio di comportamento ammirevole. Alejandra tornava spesso a scuola di pomeriggio per dare ripetizioni gratuite agli studenti non abbienti che ne avevano bisogno; Pedro dedicava ogni giorno delle ore del suo lavoro per curare persone non in grado di pagare le visite. <br> <br>

Per la reciproca affezione tra lei e quella famiglia e il desiderio di continuare a seguire la crescita di Julia e Clarice, Olivia vi rimase anche quando cominciò a insegnare in una scuola elementare della città. Durante le vacanze tornava al suo paese con le ragazze e le ospitava a casa della madre rimasta sola poiché la nonna non c’era più e i fratelli lavoravano nell’industria del rhum a Samonà.  <br>
Le conduceva per quel paradiso della natura, ricco di spettacoli grandiosi, come le cascate de las Aguas Blancas, che fanno un salto di oltre milleseicento metri, e l’immensa foresta della Reserva Cientifíca Valle Nuevo.  <br>
Fu lì che un pomeriggio, poco tempo prima di tornare in città, Olivia conobbe un giovane che, incontrando lei e le ragazze su un sentiero della foresta, le avvicinò presentandosi: sono una guida del parco, mi chiamo Juan Rodriquez, posso accompagnarvi per un giro? Accolsero la proposta volentieri, soprattutto Olivia per come fu colpita dalla figura perfetta del giovane e dai suoi caratteri somatici: un insieme di fattezze d’impronta europea tra cui però spiccavano il colorito bruno rosato del viso, gli occhi neri e lucenti, gli zigomi alti, i capelli nerissimi e lisci che le diedero la certezza di trovarsi davanti a un raro esemplare proveniente da incroci tra uomini spagnoli e donne taino. Che bella sorpresa – esclamò - scoprire che non si sono perdute del tutto le tracce degli antichi abitanti della nostra isola!  <br>
Lui, visibilmente compiaciuto, rispose: non sono il solo, in uno dei villaggi di questo territorio, dove sono nato e cresciuto, ce n’erano tanti come me – sì, eravamo tutti imparentati – ora siamo sparsi per vari luoghi, tutti fuggiti in cerca di lavoro.  <br>
Passando sotto un immenso albero, le ragazze ebbero un’esclamazione di meraviglia e Juan: è fra i più antichi della foresta, ha sette secoli – e spiegò la tecnica per stabilire l’età degli alberi. Poi descrisse altre rarità botaniche con una competenza che incantò Olivia tanto che, quando lui, al momento del congedo, le invitò a ritornare l’indomani per continuare la visita, si mostrò disponibile. Dopo essere uscite dal parco, però, le ragazze si ricordarono che il giorno successivo avevano un impegno con loro amiche e Olivia decise che ci sarebbe andata da sola.  <br>
Juan l’accolse con espressione così felice che quasi stava per abbracciarla e, incamminandosi, non appena lei gli chiese in quale parte della foresta si trovava il villaggio dov’era nato, le parlò di sé descrivendo la felice vita brada della sua fanciullezza in mezzo a quella natura straordinariamente lussureggiante, tanto che aveva sofferto molto quando la famiglia si era trasferita a Santo Domingo perché il padre, carpentiere, era stato assunto da una ditta edile; però in città aveva potuto continuare gli studi, aveva frequentato l’università laureandosi in scienze naturali. Da quasi un anno – aggiunse – lavoro come dirigente in una ditta per la tutela dell’ambiente – sì, a Santo Domingo - ma durante le ferie torno qui, dove ho fatto la guida tutte le estati per contribuire a mantenermi agli studi, e anche per la passione che mi lega a questo luogo. Poi chiese di lei che, non avendo voglia di parlare della sua lontana disavventura, disse semplicemente che era andata a Santo Domingo per studiare e aveva trovato lavoro in una meravigliosa famiglia come baby-sitter delle bambine e, dato l’affetto reciproco, era rimasta anche dopo aver cominciato a insegnare. <br>
Ah, allora potremmo incontrarci in città al nostro ritorno. Mi farebbe piacere, posso cercarti? <br>
Olivia arrossì di piacere e si scambiarono i numeri di telefono. <br>
Tornò a casa felice e raccontò tutto ad Alejandra che, sorridendo, notò: ah, ora ho capito perché tanto interesse per tornare alla riserva scientifica! Sono contenta, speriamo sia un bravo giovane. Se vuoi, Pedro conosce persone di qui che gli possono dare informazioni sul ragazzo e la sua famiglia. È sempre bene sapere chi si frequenta, no? <br>
Sì, e ti ringrazio. <br>
Juan è un ragazzo virtuoso, i suoi familiari onesti lavoratori, fu l’esito delle informazioni. <br>
Tornata a Santo Domingo, Olivia si mise in attesa della telefonata di Juan che arrivò dopo qualche giorno e per la felicità che ebbe, fu certa di esserne innamorata. L’incontro fu emozionante e si abbracciarono spontaneamente.  <br>
Continuarono a vedersi quasi tutti giorni, Juan non fece passare molto tempo che le chiese di sposarlo, di essere presentato a sua madre alla prima occasione di un ritorno al paese, e ai suoi ospiti. <br>
  Alejandra accolse contenta la notizia e disse a Olivia di invitare il giovane a cena per la sera successiva.
Lui si presentò con un mazzo di rose e fu accolto con grande gentilezza dai coniugi, un po’ ombrose le ragazze. Quando lui se ne andò Olivia ascoltò, ansiosa, il loro parere e i commenti.  <br>
È un bel ragazzo, simpatico ed espansivo e sembra in gamba, disse Pedro. <br>
Sì, confermò Alejandra, però il suo sguardo mi è sembrato sfuggente…   <br>
Ma no, forse era un po’ intimidito, è comprensibile, no? Osservò Pedro. <br>
Speriamo sia come dici tu, rispose la moglie. E intanto, Clarice, rivolta a Olivia: se ti sposi con lui, te ne vai in un’altra casa… – e aveva il pianto nella voce. <br>
Olivia l’abbracciò: sì, ma staremo vicine. Ho scoperto che c’è un piccolo appartamento in vendita a due passi da qui e ho deciso che lo compreremo, così farò venire con me mia madre che è rimasta sola.  <br>
Lo compreremo noi a tuo nome, disse Alejandra. <br>
Oh, no, mi basterà il denaro dello stipendio che mi avete dato in questi dieci anni. <br>
Intervenne Pedro: quello è il tuo gruzzoletto di risparmi, ti servirà per l’arredamento, Juan lavora da meno di un anno, quindi non potrà avere gran che da parte, no? L’appartamento sarà la liquidazione che ti spetta per gli anni del tuo lavoro.  <br>
Insonne per tutta la notte, Olivia avrebbe voluto sentirsi contenta, si diceva che c’erano tutte le ragioni per esserlo ma l’osservazione di Alejandra la tormentava. Possibile non avesse mai notato che lo sguardo di Juan fosse sfuggente? A lei era sempre sembrato limpido, leale… Oppure è parso così ad Alejandra perché lui si sarà sentito in imbarazzo per come l’ha guardato? Sarà così, cercò di convincersi alla luce dell’alba, Alejandra, quando desidera capire com’è una persona, la fissa con insistenza.  <br>
Nei giorni seguenti, però, di tanto in tanto le tornava il dubbio e, lei che di solito lo guardava amorevolmente, scrutava Juan come volesse leggergli nell’anima, accorgendosi che lui distoglieva lo sguardo. Avrebbe voluto chiedergli perché, ma non lo faceva pensando fosse un moto comunemente istintivo.  <br>
Si sposarono e abitarono nella casa di Olivia. Data la vicinanza, le ragazze si consolarono e continuarono a essere legatissime a lei che, memore della propria adolescenza, sapeva aiutarle a elaborare le loro inquietudini. E le incontrava spesso, anche dopo aver messo al mondo un bambino e nonostante i suoi impegni di lavoro: oltre a insegnare nella scuola pubblica la mattina, per alcune ore di tre pomeriggi a settimana si dedicava volontariamente all’educazione di bambini poveri o orfani raccolti dalla strada da una missione creata da monache benedettine.  <br>
Anche Juan s’impegnava molto nel lavoro che corrispondeva al suo interesse per la tutela della natura e se talvolta la sera si attardava in ufficio e rientrava tardi, Olivia non se ne lamentava: si amavano e condividevano idee e gusti. Perciò l’offuscarsi improvviso del suo umore fu come un sopraggiungere di nubi a oscurare il cielo. Cominciò una sera che Juan rientrò cupo e silenzioso: discussioni fastidiose sull’organizzazione dell’ente – disse – non vale la pena parlarne. <br>
Non pensi che se riflettessimo insieme potremmo trovare una via d’uscita? – gli chiese Olivia.  <br>
Non c’è, si tratta di teste dure.  <br>
Lei, notando la persistenza del suo umor nero, si preoccupava e tentava ancora di sapere, ma invano. Un giorno gli disse: non puoi andare avanti così, lascia l’incarico e dedicati all’insegnamento. <br>
Sono stanco, vado a dormire, rispose lui. <br>
Dispiaciuta per l’impazienza del marito, lei decise di non insistere più, sperando che trovasse da solo la soluzione alle misteriose divergenze. 
 <br> <br>
Un giorno, appena arrivata a casa al ritorno da scuola, sua madre le disse: nel tuo studio c’è una sconosciuta con un bambino in braccio, dice di chiamarsi Maria del Mar e che è stata mandata a te dalle monache della missione. <br>
Entrò e l’ospite si levò salutandola. Era giovanissima, quasi una ragazza, e molto attraente. Teneva il bambino dormente stretto al petto. Sedendosi all’invito di Olivia, le disse: come ho riferito a tua madre, vengo da te su consiglio delle monache che si occupano dei bambini abbandonati. Mi ero rivolta a loro perché non posso tenere mio figlio e non voglio portarlo al brefotrofio. Sono sola, lavoro per una ditta di pulizie, comincio alle cinque del mattino e finisco nel tardo pomeriggio. Devo riprendere il lavoro tra qualche giorno altrimenti mi licenziano, è già un miracolo che mi abbiano concesso questo mese. A chi lo lascio? Non posso portarlo al paese dai miei genitori, mi prenderebbero per una svergognata, non posso dargli questo dolore. Le monache mi hanno detto che non possono tenere i bambini piccoli e mi hanno consigliato di rivolgermi a te che forse tra le famiglie dei tuoi alunni potresti trovarne qualcuna disposta ad adottarlo.   <br>
L’uomo che è suo padre, non può aiutarti? <br>
No, voleva che abortissi, io non l’ho voluto fare, e lui mi ha detto di portare il bambino al brefotrofio perché ha famiglia e non se ne può occupare. Immagino cosa pensi e hai ragione, non dovevo mettermi con un uomo sposato, ho sbagliato a cedergli, mi sono innamorata e non ho pensato alle conseguenze. Sono stata incosciente, è vero, però, credimi, non sono una che andava con gli uomini… Mi sono sempre guadagnata la vita lavorando onestamente, riuscendo anche a pagare senza problemi la pigione del piccolo monolocale a piano terra dove abito. Oh, stavo bene, sì. Poi mi hanno mandato a fare le pulizie in un altro ufficio, ed è stata la mia rovina. L’ho incontrato lì… la prima volta fu accanto alla macchinetta del caffè, nel corridoio, mi avvicinai per prenderne una tazza, c’era lui che aspettava il suo e volle offrirmelo. Così nei giorni successivi. Arrivava sempre quando io avevo terminato le pulizie e stavo per andarmene e s‘interessava a me, mi chiedeva come mi trovavo in città, se il lavoro era pesante, se ero sola. Per farla breve, cominciò a dirmi che gli piacevo, a chiedermi di stare con lui, ma senza impegno – questo per la verità me lo disse subito – perché era sposato, ma mi avrebbe voluto bene e rispettata. Ed io, cretina, ho ceduto. Ci vedevamo due volte a settimana, veniva da me la sera quando usciva dall’ufficio. Una volta gli ho chiesto di parlarmi della sua famiglia e mi ha risposto che quella domanda non dovevo fargliela. Volle anche che chiedessi alla ditta di cambiarmi quel posto di lavoro con un altro perché non gli piaceva che i suoi colleghi ci vedessero scambiare qualche parola. Sapevo solo il suo nome, Jacopo, se è quello vero… così mi aveva detto di chiamarsi, ma un giorno ho sentito un uomo salutarlo hola Juan, e lui, pronto: il mio collega è un po’ svanito, sbaglia sempre il mio nome. Gli ho creduto, ora penso invece che m’imbrogliasse. <br>
Olivia, a sentire quel nome, si turbò e, cercando di controllarsi, continuò ad ascoltare attentamente.
Dopo poco più di un anno – seguitò la giovane – sono rimasta incinta ed è stato l’inferno: mi diceva di abortire e poiché io non volevo, minacciava di lasciarmi e si faceva vedere solo qualche volta a settimana. Io lo pregavo piangendo di non lasciarmi, gli dicevo che volevo tenere il bambino perché mi ripugnava fare quella cosa brutta e perché era una creatura anche sua. Lui a dirmi che se portavo avanti la gravidanza peggio per me, non poteva occuparsi del bambino perché aveva famiglia e una sera mi disse che ormai non potevo più lasciare passare tempo, perciò che fissassimo il giorno della prossima settimana in cui lui mi avrebbe fatto accompagnare da una donna nel posto dove avrei subito l’aborto. Levatelo dalla testa!  - gli risposi - e lui, senza dire una parola, girò le spalle e se ne andò sbattendo la porta. Non si fece più vedere ed io non lo cercai.  <br>
Ho portato avanti la gravidanza per fortuna senza problemi così ho potuto lavorare fino a quando mi sono venute le doglie sul posto di lavoro e hanno chiamato un’ambulanza che mi ha portato in ospedale in tempo perché non nascesse per la strada. Già, per fortuna il parto è stato facile! <br>
Nato il bambino, ho sperato che, vedendolo, il padre si commuovesse e cambiasse idea, perciò, appena uscita dall’ospedale sono andata nel suo ufficio e l’ho pregato di venire a vederlo. Mi ha trattato male, mi ha detto che avevo tentato di ricattarlo mettendo al mondo il bambino, che mi aveva avvisato della sua impossibilità di occuparsene, perciò che lo portassi al brefotrofio e mi levassi per sempre dai piedi.  <br>
Me ne sono andata disperata e, arrivata a casa di una mia vicina che si era offerta di tenermi il figlio, ho tentato di allattarlo perché piangeva dalla fame, ma il latte mi era sparito. La mia amica gli ha fatto acqua tiepida con lo zucchero, ma il latte non mi tornava, così ne ho comprato uno artificiale, in attesa che mi tornasse. Non mi è più venuta una goccia, per fortuna quello consigliato dalla farmacista va bene… <br>
In quel momento il bambino si svegliò e la mamma, prendendo dalla sacca un barattolo e un biberon, li porse a Olivia chiedendole il favore di preparare la poppata. Olivia prese gli oggetti e andò in cucina. Mentre aspettava che l’acqua bollisse, ebbe un accesso di pianto e dovette fare uno sforzo enorme per calmarsi, dicendosi che stava diventando ingiustamente diffidente nei confronti di Juan per la casuale corrispondenza del suo nome con quello del padre del bambino e con il suo misterioso malumore. Bagnò e asciugò il viso e portò il biberon pronto a Maria del Mar che le porse il figlioletto, dicendole: glielo vuoi dare tu, così io vado un momento in bagno? Olivia lo prese, sedette e, tenendolo sulle ginocchia, lo fissò e si sentì venir meno scorgendo che sì, quel visetto era taino! Disperata, arrabbiata per il rinfocolarsi dei sospetti e contemporaneamente vinta da immensa pietà per quella creatura, prese una decisione irrevocabile.  <br>
Quando Maria rientrò, le disse: tenendolo in braccio ho pensato che tuo figlio lo adotto io… ho un bambino di due anni, pensavo di regalargli un fratellino, e l’hai portato tu. Se ti fidi, puoi lasciarmelo già, intanto preparerò le pratiche per l’adozione. Puoi venire a vederlo quando vuoi e quando sarà il momento giusto, gli diremo che la madre naturale sei tu. <br>
La giovane si abbandonò su una sedia, coprì il viso con le mani e proruppe in singhiozzi. Quando riuscì a parlare, esclamò: le monache mi hanno detto che sei una persona buona, ma una santa sei! E dopo una pausa: e tuo marito, sarà d’accordo? <br>
Penso di sì, non mi sconterà. Il bambino mi piace e desidero venirti incontro, non perché sia buona e tanto meno una santa, perché mi sembra giusto farlo.  <br>
Maria si levò e si abbracciarono commosse. Poi, presa dalla borsa la carta d’identità gliela porse: copia il mio indirizzo, per favore, a casa non ho il telefono… <br>
 Sì, ti avviserò appena le carte saranno pronte, ma tu vieni quando vuoi.  <br>
Uscì dallo studio, tornò dopo un po’ con una carrozzella a mo’ di lettino: questa era di mio figlio, l’ho conservata per il prossimo che pensavo di avere… per ora adagialo qui, questa sera farò portare su la culla che è nel magazzino dabbasso... lascia il biberon e la scatola del latte, domani mi rifornirò. <br>
Nell’accompagnarla all’uscita, non riuscì a trattenere più la domanda che sentiva impellente e temeva di farle: che ufficio è quello del padre del bambino? Dov’è situato? <br>
Maria, preoccupata: è necessario parlare con lui? Non l’ha riconosciuto, perciò non ci vuole il suo consenso.
No, non è per questo, è una mia curiosità. <br>
La giovane si rasserenò, le disse il nome e l’indirizzo dell’ufficio e uscì. Olivia si appoggiò allo stipite della porta per come le tremavano le gambe: i dati ottenuti corrispondevano esattamente al luogo di lavoro Juan. In quel mentre, rientrò dal vicino parco sua madre con il nipotino e, vedendola sconvolta, chiese preoccupata che era successo. <br>
Niente di grave, stai tranquilla, poi ti racconterò. Porta il bambino nella camera dei giocattoli, io vado a preparargli la cena.  <br>
La nonna, lasciato il bambino a giocare, si affrettò a raggiungerla in cucina: Ho incontrato per le scale quella ragazza senza il bambino, dove l’ha lasciato? <br>
Glielo l’ho fatto lasciare qui, sta dormendo nello studio, l’ha avuto da un uomo sposato che non l’ha voluto riconoscere e non può tenerlo perché è sola e deve lavorare dall’alba al tramonto. Mi ha chiesto di aiutarla per un’adozione e ho deciso che lo adottiamo noi. <br>
Hai telefonato a Juan? <br>
No, ma lui non si opporrà, perché sicuramente è il padre, e se non lo è, bene per lui. Sono certa che in ogni caso acconsentirà.  <br>
Oh, Jesus, ma che stai dicendo? Juan sarebbe capace di tutto questo? <br>
Già, quando lo vide la prima volta, Alejandra colse in lui qualcosa che la fece dubitare della sua lealtà e oggi, per le coincidenze notate, penso che avesse colto nel segno. <br>
Quali coincidenze? <br>
Lei gliele elencò e la madre, piangendo: saranno casualità, a volte il diavolo ci mette lo zampino. <br>
Questa sera lo sapremo, ma tu preparati ad accogliere questo nuovo nipotino: comunque stiano le cose lui è innocente. <br>
Oh, questo sì, non dubitare, ma io spero che sia innocente anche Juan. <br>
Vorrei sperarlo anch’io, ma non riesco. <br>
Pensi che se fosse colpevole te lo dirà? <br>
Sì, non credo sia fedifrago fino al punto di mentirmi ancora, ma se dovesse farlo, io capirò.
 <br> <br>
Nei tre anni del loro matrimonio, avevano avuto qualche discussione, ma sempre calma. Quella sera, invece, Juan alzo la voce: sei pazza!  <br>
Rientrato cupo come da un certo tempo, salutò con un ciao, si abbassò a dare un bacio al bambino corsogli incontro, si tolse la giacca ed entrò in bagno. Poi si diresse in cucina, fece una carezza a Olivia che senza girarsi continuò a rimestare la minestra, dicendo che buon odore, si mangia subito?  <br>
Lei coprì la pentola, spense il fornello, lo guardò fisso e gli disse: dopo, ora vieni nello studio a conoscere il tuo secondogenito.   <br>
Lui allibì, per un attimo rimase impalato e muto e poi: che idiozia è questa? <br>
Quella che hai commesso tu, vieni – e tirandolo per la manica della camicia lo condusse nello studio fermandosi davanti alla carrozzella: guarda il tuo figlioletto, taino come te! <br>
Sei pazza! Chi è questo bambino, chi l’ha portato qui? E continuava a gridare che lui non c’entrava niente, che sua moglie stava cadendo in un terribile tranello, e girava per la stanza senza posa, il viso avvampato e sudato.  <br>
Lei, seduta perché le gambe non la reggevano, lo guardava con un’espressione insieme ironica e dolente, ma si alzò perché il bambino si era svegliato e piangeva, lo prese, glielo pose davanti, ma Juan si scostò. Lei chiamò la madre e glielo porse, le disse di preparargli una poppata. Poi tornò a sedere e con voce ferma gli disse: ascolta! <br>
E lui: non c’è niente da ascoltare! <br>
Invece sì, ho le prove. <br>
Che prove? In questo paese ogni tanto nasce un taino! <br>
Per ora chiamiamolo un indizio, ma ce ne sono altri così chiari che non vale la pena di cercare conferme probatorie, perciò è meglio che smetti la sceneggiata e mi ascolti.  <br>
Va bene, sentiamo. Sedette e stette ad ascoltare: la testa tra le mani e la disperazione nello sguardo.
Lei cominciò a raccontare per filo e per segno, sempre guardandolo e vedendo i suoi occhi ora fuggire, ora diventare fissi e vuoti, ora impauriti come di un animale braccato, tanto che in certi istanti lei sentiva quasi pietà, ma continuò imperterrita e, al termine della storia disse: ora il bambino è qui e ci resta, lo adotteremo, ma tu te ne vai da questa casa.  <br>
Lui scoppiò a piangere, cominciò a chiederle perdono, a protestare d’amarla, a dire di aver ceduto a una passione fisica passeggera e quella ragazza, intuendo che lui voleva rompere la relazione, aveva fatto in modo di avere un bambino per intrappolarlo. <br>
E lei: ora basta! Posso comprendere la passione, ma non la tua slealtà: avresti dovuto dirmelo, avrei capito e cercato insieme una soluzione, ma non posso avere più per te un minimo di stima per come ti sei comportato con quella ragazza inerme e con questa creatura che volevi fosse abbandonata tra i figli di nessuno. Questa notte dormi sul divanom ma domani farai i bagagli e te ne andrai in un albergo in attesa di trovarti un alloggio. Se acconsenti, divorzieremo in maniera consensuale, altrimenti cercati un avvocato. Se vuoi mangiare, mia madre ha già apparecchiato la tavola, io non ho fame. <br>
Lo lasciò più morto che vivo e uscì dallo studio.
 <br> <br>
Juan se ne andò all’alba soltanto con una sacca, lasciò una lettera per Olivia piena di rimpianto e di richieste di perdono, ma dichiarandosi disposto ad accettare le condizioni da lei poste come un castigo meritato. Avrebbe mandato qualcuno a ritirare le sue cose, e la pregava di telefonargli per fissare un abboccamento perché desiderava che parlassero ancora. Lei gli telefonò dopo alcuni giorni soltanto per comunicargli la data in cui sarebbe stata formalizzata l’adozione del bambino. In quell’occasione lui tentò ancora di ottenere un incontro, ma inutilmente. S’incontrarono soltanto il giorno in cui il tribunale concesse loro la separazione consensuale e lui le disse che sarebbe presto partito per gli Stati Uniti, dove aveva trovato lavoro, ma sarebbe tornato nei periodi di ferie per rivedere i bambini, e avrebbe regolarmente adempiuto i suoi doveri per il loro mantenimento.  <br>
L’anno successivo tornò per alcuni giorni. Tentò ancora un approccio di pace ma Olivia non fu disponibile: più volte aveva dubitato d’essere stata dura ma, rivedendolo, scorse sul suo viso un’impronta d’ipocrisia per cui ritenne che la sua decisione fosse stata l’unica possibile, e giusta. <br>
Juan ripartì e sparì: dopo due anni che non arrivava alcun segno di lui, Olivia, temendo gli fosse successo qualcosa, presa da scrupoli si rivolse al Consolato e seppe che era vivo e sano e stava con un’altra donna. Fu quasi contenta perché liberata da quella sorta di pena che di tanto in tanto la prendeva a tradimento, e decise di non chiedergli nulla.   <br>
Serena, continua a insegnare nella scuola e nella missione e a occuparsi dei figli insieme alla madre del bambino adottato, che ha sollevato dal faticoso lavoro accogliendola in casa come Alejandra aveva fatto con lei.  <br>
 <br>
Roma, novembre 2010
Sara Zanghì

Nessun commento:

Posta un commento